Lunga intervista di Mino Raiola concessa al quotidiano Repubblica.
Il super procuratore parla a 360 gradi: da Haaland, a De Ligt fino a Pogba, sogno dei tifosi bianconeri.
Prima stoccata ai manager italiani:
“Gli italiani non sanno valorizzare i propri talenti, figurati quelli degli altri. A me capita di incontrare osservatori italiani che gridano al miracolo se vedono un 2001 forte. Allora gli dico: ‘ma che ve ne fate, se poi non lo fate giocare'”.
Capitolo Pogba: “Oggi non porterei più nessuno là, rovinerebbero anche Maradona, Pelé e Maldini. Paul ha bisogno di una squadra e di una società, una come la prima Juve”. E i tifosi bianconeri cominciano a credere che il sogno si possa realizzare.
Ibrahimovic al Milan:
“E’ tornato per divertirsi e per far divertire il mondo. Non potevo permettere che il suo ultimo palcoscenico fosse Los Angeles”.
“Questi sei mesi saranno come l’ultima tournée dei Queen, un lungo tributo: bisognava farlo a San Siro. Chi ha convinto chi? Abbiamo litigato a ogni trasferimento”.
“Se fossi ignorante, penserei che sono sempre stato io a decidere le sue squadre, invece a 52 anni credo di aver capito che lui decide e poi mi fa credere che la decisione l’ho presa io”.
“Il caso di Zlatan è diverso, lui viene solo per sei mesi, poi vediamo. Però vi ho portato De Ligt, che volevano tutti. Tutti. Ma lui vuole diventare il miglior difensore al mondo e allora mi fa: ‘Mino, io devo andare all’Harvard della difesa, al Mit dei difensori’. Perciò abbiamo scelto la Juve: per prendere la laurea”.
Mino Raiola condiziona il mercato?
“Certo che sì. Io non voglio ritrovarmi il 29 agosto a decidere cosa fare. Le commissioni? Il punto è: guadagno molto o guadagno troppo? Io sono d’accordo sul molto”.
“Oggi un grande club vale 4 miliardi, è tutto commisurato. I soldi fanno parte dello show. E comunque non sono i soldi a motivarmi, io ero già milionario a vent’anni, potevo sdraiarmi su una spiaggia e vivere di rendita. È la Fifa che per nascondere i suoi problemi non fa che attaccare i procuratori”.
Poi il super procuratore torna su Donnarumma:
I tifosi del Milan “Dovrebbero chiedermi scusa per Donnarumma: Mino, avevi ragione tu. Volevo portarlo via perché non mi fidavo di quel Milan, come non mi fidavo dell’Inter di Thohir, e ditemi se non avevo ragione. Sarò poco romantico e politicamente scorretto, ma il mio scopo è massimizzare la carriera dei miei giocatori. Mi chiedo sempre: “cosa farei se fosse mio figlio?” I soldi sono solo l’ultimo step”.
E infine: “Io direttore sportivo? Se il mio avvocato facesse comunella con il pm, lo scaricherei subito”.
“Mia nonna era analfabeta, ma mi ha sempre detto che non si può stare con Dio e con il diavolo”.
“Io rifiuto anche gli incarichi di mediazione, tratto solo i trasferimenti dei miei che devono scegliermi per fiducia e non perché hanno paura, come invece facevano quelli che andavano alla Gea, convinti che se non lo avessero fatto sarebbero usciti dal giro”.
“Il procuratore è come il medico di famiglia: se non ti fidi, è meglio che lo cambi. E poi non assisto allenatori: voglio avere la libertà di mandarli a quel paese”.