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venerdì, Aprile 19, 2024

Roberto Baggio commuove la platea al Festival di Trento

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Roberto Baggio si racconta al ‘Festival dello Sport’ di Trento.

La Gazzetta dello Sport, presente anch’essa con la sua redazione al festival gli dedica un bellissimo articolo ricamato attorno alle parole dell’ex n.10 della Juventus.

Ecco i passaggi più importanti dell’articolo e del meraviglioso intervento di Roberto Baggio:

La cognizione del dolore di Roberto Baggio è profonda quanto la ferita al ginocchio destro (220 punti interni di sutura) e le altre che il calcio gli ha regalato in mezzo a tanto splendore e tanto affetto:

Il rigore sbagliato a Pasadena, l’esclusione dalla rosa del Mondiale 2002, la guerr iglia che scoppiò a Firenze intorno a un ragazzo che non voleva andarsene, ma la ragion di stato aveva fatto il suo corso.

«Tanta gente era finita all’ospedale, mi sentivo colpevole, anche se il meno colpevole di tutti. L’unica consolazione è che dopo vent’anni Pontello ha ammesso che la mia versione era quella vera, ma per vent’anni mi sono portato un peso».

Grande come il dispiacere di Pasadena. «Non ho mai tirato alto un rigore in tutta la mia vita, forse uno, ma non così alto. A volte prima di andare a letto ancora ci ripenso ».

E pensa alla delusione provocata da Trapattoni prima di un Mondiale con maxi-rose, allargate a 23 proprio perché, si dice, la Fifa in questo modo sperava di avere in campo anche l’ex ragazzo con la coda ormai ingrigita, oltre a Ronaldo. «Mi meritavo quel Mondiale, mi ero preparato benissimo, avevo un senso di rivincita tale che non vedevo l’ora di esserci».

Lacrime e cori «Sono sempre stato dalla parte della gente, dei tifosi, perché anch’io sono stato tifoso di sportivi e musicisti e penso di dover dare qualcosa alle persone. Ho sempre giocato per divertirmi, lo facevo per me stesso e anche per gli altri».

Il teatro è strapieno, il Festival dello Sport attira tanta gente, e l’ex numero dieci ancora di più.

Roberto Baggio e il suo rapporto con il buddismo, il karma, la concezione di amicizia, il rapporto con il denaro.

Ne esce il profilo di un campione che vuole restano umano. Perché sullo schermo scorrono gol meravigliosi, compaiono le figurine Panini delle sue molte squadre, la gente applaude ed esplode in cori di approvazione, sulle balaustre dei palchi ci sono sciarpe e maglie dei suoi club e della Nazionale.

Che si racconta senza sorvolare sui momenti cupi e su quelli di tensione, che ci furono per esempio con il sergente di ferro Lippi.

Lui e gli allenatori «Io non ho mai fatto niente per mettermi davanti agli altri, figurarsi davanti all’allenatore. Ho avuto la fortuna di lavorare con tecnici bravi come Sacchi e Lippi, poi certi rapporti si sono incrinati per piccoli screzi. La delusione che mi ha dato Trapattoni lasciandomi fuori dalla Nazionale è stata grande, forse anche per questo oggi vivo lontano dal calcio».

Eppure gli piacerebbe giocare in quello di oggi. «Quando vedo l’arbitro che segna la linea della barriera con la bomboletta penso a quanti gol avrei potuto segnare io, a quanti avrebbero potuto segnarne Zico, Maradona, Savicevic, Platini, Mihajlovic. Ai miei tempi giocare era più difficile, si prendevano più botte».

«Cristiano e Messi?Fenomeni ».

Scorrono altre foto, Mourinho, Neymar, il meglio che c’è. Si arriva a Dybala e alla Juve. «Ha qualità incredibili, ma quelli che fanno quel ruolo spesso vengono messi in discussione quando le cose non vanno benissimo. Sarri ha fatto belle cose dappertutto, ma per vedere il suo gioco ci vuole tempo».

Favola finale I momenti toccanti del racconto sono tanti, come quando passa in rassegna gli infortuni («a volte il dolore era insopportabile, a mia mamma dicevo, se devo andare avanti così amm azzami») .

Dopo il caos di Firenze, alla fine dell’idillio con la Juve, quando si trovò in un Milan che stava rinnovando e scommise ancora su stesso ritrovandosi a Bologna, quando giocò l’ultima partita all’Inter e rimase senza contratto.

«Mi allenavo da solo aspettando che qualcuno chiamasse, per tre mesi sono tornato nel campetto di Caldogno, lì dove avevo cominciato, due volte al giorno. Volevo giocare vicino a casa, volevo tornare a Vicenza ».

Fonte: La Gazzetta dello Sport

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