venerdì, Novembre 22, 2024

Thuram sulla discriminazione: “Il calcio faccia di più”

L’ex difensore della Juventus ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport, di cui proponiamo uno stralcio, in cui ha toccato dei temi che gli stanno molto a cuore.

Oggi Lilian Thuram è un uomo impegnato in progetti di aiuto ai migranti, e sui recenti fatti accaduti commenta: “Il nostro mondo parla a tanta gente. Allo stadio la maggioranza non resti in silenzio”.

Lei è arrivato in Francia nel 1981 e in Italia nel 1996: come giudica l’evoluzione della discriminazione?

“Le cose migliorano, è innegabile. In Italia mi sono trovato subito molto bene, amo profondamente il vostro Paese e perciò non mi piace la piega che hanno preso le cose. Nel calcio c’è un aspetto fondamentale: allo stadio è sempre una minoranza a manifestarsi in maniera becera. La maggioranza non segue certi comportamenti, e in gran parte dei casi li disapprova. Però la tendenza è sempre quella di dar risalto agli aggressivi, anche perché gli altri restano in silenzio. Bisogna che le persone positive si facciano sentire, vanno incitate a prendere posizione altrimenti non resta che il rumore dei prepotenti e finiamo per credere che ci siano solo loro, che quello sia il pensiero dominante e che non si possa far nulla per fermarlo e combatterlo”.

Il calcio dovrebbe fare di più?

“Certamente. È troppo timido, in tanti hanno paura a farsi sentire e a impegnarsi. Invece il movimento dovrebbe sfruttare molto di più l’enorme cassa di risonanza e le proprie capacità di comunicazione. Il calcio è in grado di parlare a tantissime persone. E la discriminazione va bloccato a tutti i costi perché è estremamente pericoloso. Perché è un discorso che dice: ‘Lui non è come noi. Noi siamo migliori. Noi siamo legittimati, lui no’. Ed è facile arrivare a pensare che l’altro possa essere addirittura eliminato. Il calcio non può restare a guardare, a far finta di niente”.

Lei lavora con la Fondazione del Barcellona in programmi di aiuto ai migranti, questione che le sta a cuore.

“Come si può arrivare a pensare che certe persone siano illegittime in un luogo? Cosa ci può portare a pensare che noi abbiamo dei diritti e altri no? Pensando così ci rinchiudiamo in una gabbia le cui pareti sono nazionalità, pelle e religione. Dobbiamo imparare di nuovo a vedere le altre persone prima di tutto come esseri umani. Perché prima di essere un migrante quella persona è un essere umano, come noi”.

Come si è arrivati a questa situazione?

“Viviamo in una società in cui bisogna proteggere e coltivare la solidarietà: chi è incapace di tendere la mano accetta l’ineguaglianza nella sua stessa società. E accetta che la sua sia una società prepotente. Se non accetti l’altro, se sei aggressivo con l’altro per una questione di colore, origine o religione è normale che questa aggressività si sviluppi anche in altre parti della società, più vicina alla tua realtà quotidiana. Come il calcio. Bisogna fare grande attenzione perché diventa incontrollabile”.

Recentemente si è posto una domanda: in che mondo viviamo? Che risposta si è dato?

“Viviamo in un mondo assurdo. È come se fossimo tutti su una sola grande barca che ha una falla enorme a poppa, con quelli che sono a prua che pensano che la falla non li riguardi. È assurdo: dovremmo proteggere la barca, che è il mondo nel quale viviamo, perché siamo tutti legati anche se certe persone pensano che non sia così”.

Fonte: Gazzetta.it

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