Il 21 dicembre del 2010, all’età di 83 anni, se ne andava uno dei più grandi protagonisti del calcio italiano
Nel mondo del calcio alcuni uomini più di altri sono capaci di lasciare il segno e di entrare nella storia.
Enzo Bearzot è stato indiscutibilmente uno di questi, un uomo con eccellenti qualità tecniche e umane.
La sua morte colpì tutta l’Italia appassionata di calcio, e non solo, che avevano imparato ad amare quel “Vecio” con la pipa sempre in bocca.
Una carriera iniziata vestendo le maglie di Pro Gorizia, Inter, Catania e Torino, ma è soprattutto da commissario tecnico della Nazionale, che ha ottenuto la sua consacrazione.
Le pagine più belle le ha scritte affidandosi al blocco-Juve (con il blocco-Torino quasi tutto in panchina): da Zoff a Gentile, da Cabrini a Scirea, da Benetti a Bettega, da Causio a Tardelli. Memorabili i trionfi ma quante critiche ha dovuto sentire nella sua carriera l’ex ct prima delle gioie.
Segni particolari: un caratteristico naso “da pugile”, che lui stesso raccontava così:
“Tre fratture, mica una. E due causate dai miei compagni. La prima volta ero arrivato all’Inter da poco, partitella, il portiere Soldan grida mia mentre io sono già in aria a respingere di testa, il pugno anziché sul pallone arriva sul mio naso. Operato, raddrizzato, come nuovo. Pronto per la seconda volta, a Trieste, con il Toro. Saltiamo nella nostra area, io per rinviare, Fortunato per incornare verso la porta. Ci sbilanciano, la palla passa un attimo prima, fronte contro naso, altra frattura. Infine, partitella del giovedì al Filadelfia, la nuca del giovane Mazzero contro il mio vecchio, solito naso. L’ho tenuto cosi, una specie di medaglia se non al valore perlomeno al coraggio”.
Il suo biografo, Gigi Garanzini, di lui racconta:
“In famiglia lo vedevano medico, avvocato o in banca. Lui scelse subito il pallone. Di famiglia benestante (papà Egidio direttore di banca) ai tempi del ginnasio frequenta il pallone con successo. Lo nota un dirigente della Pro Gorizia, Serie B, e lo porta nel calcio vero. Due anni dopo il sogno diventa realtà con la maglia dell’Inter, ma il gran numero di campioni gli lesina spazio”.
“L’Inter non ha mai creduto molto in lui, al punto da fargli venire dei dubbi ma quando conobbe Luisa, che divenne sua moglie, capì che bisognava insistere. Fu lei a convincerlo a non smettere quando l’Inter decise di cederlo al Catania. Lei, milanesissima, gli disse: “Ci sposiamo e andiamo a vivere al mare”. Ci restò tre anni a Catania, l’ultimo fu quello della promozione. Quando in città si seppe che sarebbe andato al Torino i tifosi organizzarono un corteo che arrivò fino sotto casa sua per convincerlo a cambiare idea. Lui fu come sempre onesto e disse: “Non credo di poter fare molto di più di quello che ho fatto”.
Nel 1977 Bearzot diventò commissario tecnico azzurro e, oltre bravura ed intuizione, mostrò coraggio nelle sue scelte, come credere in dei giovanissimi Cabrini e Rossi, che poi ripagarono la sua fiducia con delle prestazioni indimenticabili rimaste nella storia.
Così commentava il suo sistema di gioco:
“Zona mista, quella di allora. Marcature a uomo quando e dove occorre, disposizione a zona nel resto del campo. Ci sono certi tipi di giocatori che puoi annullare più facilmente se gli togli un po’ d’aria da respirare. Dopodiché, se hai assemblato una squadra di giocatori polivalenti sai che se la cavano sia se c‘è da soffrire e difendere sia quando è il momento di prendere l’iniziativa e attaccare. A forza di giocare insieme diventano una buona squadra anche undici mediocri. Figurarsi se tra loro c‘è un campione, o meglio ancora più di uno”.
Tuttora suo il record di panchine: ben 104, in cui riuscì a portare l’Italia a vincere gli indimenticabili Mondiali nel 1982.
Dopo i Mondiali del 1986 presentò le sue dimissioni dichiarando: “Per me allenare l’Italia era una vocazione che, con il passare degli anni, è diventata una professione. I valori del gioco sono cambiati dai miei tempi. A causa dello sviluppo del settore e dell’ingresso sulla scena di grandi sponsor, sembra che il denaro abbia spostato i pali delle porte”.